O'cangaçeiro - Il brigante
(O'cangaçeiro) Brasile, 1953 – B/N - 105 min.
di Victor de Lima Barreto
con: Alberto Ruschell, Marisa Prado, Milton Ribeiro, Ricardo Campos, Vanja Orico

Galdino Ferreira, capo di una banda di malviventi, mette sottosopra la regione del Nordeste brasiliano. Nel corso di una delle tante scorribande Galdino prende in ostaggio Oliva, una giovane maestra che l'ha affascinato con la sua bellezza. Teodoro, luogotenente di Galdino, che non approva questo atto di prepotenza verso una donna, la libera e si allontana con lei. Accortosi della fuga dei due, il bandito mette sulle loro tracce i suoi uomini.
Barreto con questa opera prima vinse la Palma d'oro al festival di Cannes (miglior film d'avventura), mescolando temi dichiaratamente western con argomenti della storia nazionale. La colonna sonora, ai tempi, riscosse un enorme successo.
(FILM TV)

Nordest del Brasile agli inizi del Novecento. La banda di Galdino Ferreira rapisce una maestra di cui s'innamora Teodoro, luogotenente di Galdino, e fugge con lei. Epilogo tragico. Primo film a soggetto del documentarista V. de Lima Barreto (1906-82), fu premiato a Cannes come miglior film d'avventura e migliore colonna sonora (di Gabriel Migliori; la canzone “Mulher Rendeira” ebbe successo mondiale). Indeciso tra storia e leggenda, un po' folcloristico, psicologicamente rozzo, ma la galleria delle facce, la bellezza dei paesaggi, la suggestione delle musiche, un senso primitivo dell'epica ne fanno un'opera magnificamente datata, come tutti i film al passo con la storia del cinema. Conosciuto anche con il titolo Il brigante.
(Il Morandini – Zanichelli Editore)

(…) Da un punto di vista cinematografico, il cangaço ha avuto diverse rielaborazioni. Senza ombra di dubbio, una delle più famose è O’ Cangaceiro di Lima Barreto. Tuttavia, questo film prodotto dalla Vera Cruz presentava una serie di imprecisioni, come per esempio il fatto che i cangaçeiros, sul modello dei western nordamericani, erano presentati a cavallo e non a piedi.
(Gian Luigi De Rosa; da: MUSIBRASIL n.7 - 2005)

Victor de Lima Barreto (San Paolo, 1906 – Campinas, 1982)
Personalità difficile e contraddittoria, inizia la carriera firmando due documentari d’arte (Painel, Pannello, 1951; Santuario, 1952), il secondo dei quali, dedicato alle opere dello scultore barocco Aleijadiño, viene presentato a Venezia, consentendogli di debuttare nel lungometraggio. Gira così Il brigante (1953, premiato al Festival di Cannes del 1954), in cui mescolando western e storia del Brasile racconta le gesta del bandito anarcoide Galdino Ferreira, che infestava il Nordeste del Brasile agli inizi del Novecento. Nel 1961 gira A primeira missa (La prima messa), storia della vocazione religiosa di un ragazzino, senza però riuscire a ripetere il sucesso del film precedente.
(Le Garzantine – Cinema. A cura di Gianni Canova)



Il dio nero e il diavolo biondo
(Deus e o diabo na terra do sol) Brasile, 1964 – B/N – 115 min.
di Glauber Rocha
con Mauricio Do Valle, Geraldo Del Rey, Iona Magalhaes, Lydio Silva, Milton Rosa, Antonio Pinto, Marrom, Joao Gama, Sonia Dos Humildes, Othon Bastos

Nel sertão delle siccità, verso il 1940, un contadino e la moglie si ribellano al loro stato, e dapprima si aggregano a un santone ("beato") dagli accenti apocalittici, poi a un bandito ("cangaçeiro"), ma i due sono uccisi da un "killer" assoldato dai padroni, e le loro rivolte falliscono. Come esprimere la cultura autentica del Brasile? "La fame, lo sradicamento culturale, danno origine a personaggi nuovi, a una morale nuova, che impongono forme nuove. Mi è impossibile presentare il cangaço come eroe di western, impossibile utilizzare le stesse inquadrature, impossibile. Deus e o Diabo e il più bel film di montaggio". Rocha, giovanissimo regista alla sua seconda opera, ha "inventato" in questo modo una forma nuova per un racconto nuovo secondo un'estetica che egli chiama "della violenza". Film affascinante e terribile, Deus e o Diablo è il più bel film del "nuovo cinema" brasiliano, barocco e delirante, sfrenato e straziante, mosso e angoscioso, costruito come una "chanson de geste" originale, che sa servirsi della lezione di Ejzenštejn filtrata attraverso quella di Buñuel e molte altre, e creare opera autonoma e originale.
(da: George Sadoul, Dizionario dei film, Firenze, Sansoni, 1968)

Nord-Est del Brasile 1940. Per sfuggire alla miseria e allo sfruttamento, il vaccaro Manuel e sua moglie Rosa si aggregano prima a un santone fanatico, il “beato” Sebastião, e poi al cangaçeiro (bandito) Corsico, ma entrambi sono uccisi da Antonio das Mortes, sicario al soldo dei padroni, e le loro rivolte falliscono. Una delle opere capitali del cinema nôvo brasiliano degli anni '60. Estetica della fame e del sottosviluppo, esaltazione (alla Frantz Fanon) della violenza, frenesia della narrazione convergono nel linguaggio surriscaldato di Rocha che sa fondere la poesia violenta di romanzo nordestino, percorsa da grandi passioni e forze primordiali, con il dialettico meccanismo delle situazioni.
(Il Morandini – Zanichelli Editore)

Questo film segnò l’apogeo del «cinema nòvo» brasiliano, un movimento che raggruppava cineasti indipendenti in rotta con la produzione nazionale, dedita ai melodrammi cantati («chanchadas»), per imporre al loro posto soggetti di impostazione rivoluzionaria trattati secondo un nuovo stile. Un cinema politico che non nasconde la sua ascendenza marxista, e che si svilupperà grazie alle riforme degli anni Sessanta. Glauber Rocha (1936-1981) fu uno dei più ardenti apostoli del movimento, e manifestò doti di virulento polemista sia nei film che negli scritti. Si dichiarava sostenitore di una cultura «in trance», che rifiuta la modernità occidentalizzante. Da Barra-vento (1961) a L’età della terra (1980), dimostrò una veemenza e uno slancio poetico-politico che coniugava in un patchwork un po’ stravagante le influenze del cinema sovietico, della letteratura dei cantastorie, del documentario sociale, del teatro simbolista e del western. La generosità dell’intento, il fervore quasi messianico del messaggio fanno di Rocha uno dei creatori più autenticamente barocchi del cinema contemporaneo (con il cileno Raul Ruiz, in tutt’altro registro).
(da: Claude Beylie, I capolavori del cinema, Vallardi, 1990)

Glauber Rocha (Vitória da Conquista, 1939 - Rio de Janeiro, 1981)
Glauber Rocha si impose come l'esponente più noto e originale del cinema nôvo brasiliano. Approdato al cinema dopo aver studiato legge e aver lavorato come giornalista e critico cinematografico, realizzò alcuni cortometraggi e nel 1962 portò a termine il suo primo lungometraggio, Barravento, un film su una comunità di pescatori di Bahia. E’ dell’anno successivo il saggio "Revisâo critica do cinema brasileiro", che anticipò il manifesto del movimento, “L'estetica della violenza” (1965). Con Il dio nero e il diavolo biondo (1964), Rocha conquistò attenzione in tutto il mondo. Nel 1967 uscì Terra in trance (Terra em transe), che definisce artisticamente la mutata coscienza politica del regista. L'attività cinematografica di Rocha proseguì in patria fino al 1969, quando fu costretto ad abbandonare il Brasile per la severa censura governativa seguita al colpo di stato militare. Tutto questo non prima che il regista realizzasse il suo quarto lungometraggio (il primo a colori): Antonio das Mortes, premiato a Cannes nel 1969. Nel 1970 girò in Congo Il leone a sette teste (Der leone have sept cabeças) , satira sul colonialismo europeo, presto seguito da Cabezas cortadas, realizzato in Spagna nello stesso anno. Nel 1972, in piena esplosione in Brasile del “cinema marginal”, portò a termine un film di montaggio sulla cultura e la storia del proprio paese, A historia do Brasil (1975). Per la Rai, in Italia, girò Claro (1975), con Juliet Berto e Carmelo Bene. Alla fine del decennio ritornò in Brasile, suscitando non poche polemiche negli ambienti di opposizione: dai "marginali" fu infatti accusato di doppiogiochismo col regime militare. Nel 1977 creò un documentario, Di Cavalcanti, grande opera lirica dedicata ai funerali di un pittore brasiliano. La sua ultima pellicola fu A idade da terra (1979), che portò al Festival di Venezia ottenendo pochi, anche se accesi, consensi dalla critica. Rocha fu anche attivissimo in TV col programma "Abertura" (1979, TV Tupi), di grande impatto sul pubblico. Tra le sue tante collaborazioni, lo ricordiamo produttore di A grande feira (1961) di Roberto Pires, Imagens da terra e di povo (1962) di Orlando Senna, Menino de engenho (1965) di Walter Lima Junior, A grande cidade (1966) di Carlos Diegues, Brasil ano 2000 (1969) ancora di Walter Lima Junior. Fu inoltre sceneggiatore di A garota de Ipanema (1967) di Leon Hiszman, attore in Vento dell'est (1969) di Jean-Luc Godard e in Tatu Bola (1971). Nel marzo del 1981, mentre era in Portogallo per una retrospettiva dei suoi film, venne ricoverato in ospedale per problemi broncopolmonari. Morì il 22 agosto dello stesso anno, poco dopo il suo trasferimento in una clinica di Rio de Janeiro.


Il Cinema Nôvo brasiliano
Corrente del cinema brasiliano. Storicamente, si tratta del terzo momento autonomo e significativo di quella cinematografia, da sempre colonizzata, dopo la cosiddetta belle époque delle origini (3-4 anni, a partire dal 1908) e le farse degli anni '40. Tra i precedenti del cinema nôvo si può annoverare un numero ristretto di film sulla vita popolare nelle aree urbane, realizzati a Rio e São Paulo in seguito agli entusiasmi per il neorealismo italiano. Altri riferimenti furono le nouvelles vagues europee, mentre la pratica autoctona della farsa per lo schermo costituì oggetto di opposizione, alla pari del cinema di Hollywood. Nato nel 1962-63, con centro a Rio de Janeiro, il cinema nôvo ebbe una parabola storica brevissima. Tendenzialmente, si inserì in una più vasta corrente di rinnovamento della cultura brasiliana, che riguardava anche la musica, la letteratura, il teatro e le scienze sociali. Come accadeva per le altre forme espressive, il cinema nôvo vide una larga partecipazione di giovani intellettuali che, decisi a rifiutare il ruolo loro assegnato dal neocolonialismo, desideravano trasformarsi da classe dirigente in interpreti del popolo sottosviluppato e oppresso. Il movimento fu, tuttavia, molto differenziato: non si configurò come una 'scuola', né espresse atteggiamenti omogenei in campo ideologico o linguistico. Nella sua eterogeneità, ebbe comunque un maestro riconosciuto in Luis Nelson Pereira dos Santos, il cui Rio 40 graus (Rio 40 gradi, 1955) assunse valore esemplare come prototipo di una cinematografia nazionale e popolare. Il successivo Vidas secas (Vite secche, 1963) usava un linguaggio quasi documentario per ambientare nella desolata siccità del sertão la vicenda di una famiglia contadina.
La personalità di punta doveva essere però quella di Glauber Rocha, il cui cinema raggiunse una fama a livello internazionale. Uno sguardo antropologico caratterizzava il suo primo lungometraggio, Barravento (1962), incentrato su una comunità di pescatori di Bahia. Seguirono il barocco Deus e o Diabo na Terra do Sol (Il dio nero e il diavolo biondo, 1964), Terra em transe (Terra in trance, 1967) e O Dragão da Maldade contra o Santo Cuerreuo (Antonio das Mortes, 1969), saga allegorica di un uccisore di cangaceiros in rivolta contro i propri mandanti. Quanto al contributo degli altri cineasti, bisogna ricordare almeno: Os fuzis (I fucili, 1964), girato da Rui Guerra in un villaggio del Nordeste brasiliano; A falecida (La morta, 1965) di Leon Hirszman, ambientato invece nei sobborghi di Rio; il cinema-verità di Joaquim Pedro de Andrade; i film sulla crisi dell'intellettuale borghese di Gustavo Dahl- O bravo guerreiro (Il guerriero coraggioso, 1968) -, e Paulo César Saraceni (O desafio (La sfida, 1965). E ancora i nomi di Carlos Diegues che partecipò al film collettivo Cinco vêzes favela (Cinque volte la favela, 1962) con cui il cinema nôvo compiva un notevole sforzo descrittivo della realtà brasiliana - L.S. Person, Walter Lima jr.
Nonostante il suo già sottolineato eclettismo espressivo - consapevole, del resto, nella teorizzazione di un cannibalismo culturale verso i prodotti intellettuali del mondo imperialista - il cinema nôvo si trovò a concordare su una esigenza di fondo. Cinema politico per eccellenza, esso si pose infatti come obiettivo la lotta contro il sottosviluppo culturale imposto al Brasile. Ne derivarono un deciso rifiuto dei compiacimenti folcloristici e una accentuazione di polemica terzomondista, ravvisabile nelle tematiche dominanti: la servitù e la fame del Nordeste; le sacche di emarginazione delle periferie urbane, il neocolonialismo della borghesia cittadina, con la sua dipendenza e le sue frustrazioni; i temi del tropicalismo, legati al recupero di una cultura autoctona. Su queste basi tematiche si istituivano i generi di una nuova cinematografia, dall'epico-storico all'etnografico, al film-inchiesta. Soprattutto, furono l'universo miserabile e mitico del sertão e la vita dei villaggi interni e costieri del paese a ispirare le storie più suggestive. Ripuliti dall'inclinazione melodrammatica che aveva nociuto al noto O cangaceiro (id., 1953) di Lima Barreto, i film del sertão espressero una potenza visionaria inconsueta, che colpì con violenza il pubblico, guadagnando al cinema nôvo una reputazione fuori dei confini brasiliani.
Ma premi e riconoscimenti internazionali non valsero a impedire che il cinema nôvo mancasse proprio il suo scopo principale. Mentre un'immagine inedita e sconcertante del Brasile si diffondeva nel mondo, infatti, nessun nuovo pubblico si formava nel paese d'origine di quel cinema, che restava confinato all'interno di una ristretta categoria intellettuale, sostanzialmente limitata ai cineasti.
La situazione strutturale affrontata dai giovani registi non era del resto facile né mancò il tentativo di istituire un sistema cinematografico alternativo a quello dei colonizzatori. Sull'esempio dell'antico esperimento di Alberto Cavalcanti, il cinema nôvo si curò anzi di intervenire in tutte le fasi del processo, partendo dalla produzione e attraverso la distribuzione, fino all'esercizio. Non si può dimenticare, tuttavia, che al fallimento del progetto di diffusione entro i confini brasiliani non fu estraneo un problema di natura comunicativa. Il tentativo di fondare un linguaggio cinematografico alternativo risultò, nonostante le relative analogie (una certa violenza espressiva comune a diversi registi, l'uso di materiali semantici eterogenei, il riferimento alla mitologia popolare, l'attitudine didascalica, ecc.) tutt'altro che organico. Conducendo il cinema a rappresentare la realtà nazionale in modo nuovo, i giovani cineasti si proponevano di elaborare un linguaggio nazionale e realistico, in cui il popolo brasiliano potesse riconoscersi. In realtà, il problema del cinema popolare fu interpretato come proposta individuale degli autori, e non superò generalmente il puro atteggiamento ideologico. Basterà per tutti l'esempio di Rocha, che veicola il suo recupero delle mitologie popolari attraverso un codice linguistico fortemente marcato dalla lezione 'brechtiana' di Godard.
Se un tale successo venne a mancare, non fu comunque solo per assenza di coordinamento o peccato di 'intellettualismo'. La corrente era nata da appena un paio d'anni, quando la sua parabola fu praticamente troncata dal colpo di stato militare del 1964. Con una nascita, un apogeo e un declino così rapidi, il cinema nôvo non ebbe la possibilità di elaborare un autentico progetto di cinema rivoluzionario. Già abituato a budget produttivi ridotti all'osso, si trovò costretto in condizioni economiche pressoché inagibili. Benché un piccolo spazio produttivo restasse ancora aperto tra l'anno del golpe e il 1968, i suoi limiti andavano restringendosi di giorno in giorno. Simili difficoltà, unite all'intervento della censura, determinarono la caduta di ogni progetto collettivo. La soppressione delle caratteristiche di movimento a favore di quelle individuali finisce, anzi, per essere adottata come via d'uscita dagli ostacoli politici. I registi si disperdono, seguendo ciascuno le proprie inclinazioni e materiali possibilità. Mentre una parte di loro risponde all'involuzione politica col battere vie più commerciali (Diegues) con l'intonare l'autocritica dell'intellettuale (Saraceni), qualcuno persegue una linea di coerenza in tono più sommesso (Pereira dos Santos). Altri infine, come Guerra e Rocha, lasciano il Brasile, alla ricerca di altri paesi dove realizzare i loro film.
(da: F. Di Giammatteo, Dizionario universale del cinema, Roma 1985)

Scheda realizzata dal CIRCOLO LUMIERE (affiliato FICC) in occasione della mostra “ARAUTOS DE SANTOS” di Roney Gorge e Gustavo Moreno – Trieste 15 – 25 novembre 2008
proiezione dei film domenica 16.11.2008 ore 18.30 – Magazzini Cornelia – P.za Cornelia Romana 3/a Trieste

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